Il Santuario di Montevergine



Origine del santuario
L'abbazia di Montevergine da quasi nove secoli è il più noto e venerato santuario mariano della Campania, meta di pellegrinaggio; è considerata una specie di casa comune, situata nel massiccio montuoso del Partenio, che domina la città di Avellino e l'ampia vallata del Sabato; fu fondata da un pellegrino diretto in Terra Santa, Guglielmo da Vercelli, il quale si ritirò sul monte detto Vergine, perché non ancora contaminato da strutture fatte dalle mani dell'uomo, con lo scopo di vivere solo con Dio. La solitudine non durò a lungo e il silenzio fu interrotto da schiere di pellegrini, i quali andavano per chiedere all'uomo di Dio una preghiera e una benedizione. Molti chiesero di divenire suoi discepoli, tra cui un gruppo di sacerdoti. Fu necessario provvedere alla costruzione di un ospizio per i pellegrini, di una chiesa per il servizio divino e di un monastero per la nuova famiglia religiosa. Durante la costruzione del complesso monastico arrivò un'artista di nome Gualtiero il quale era caduto da un'impalcatura ed aveva riportato la frattura di un braccio; per l' intercessione di San Guglielmo ritrovò l'articolazione dell'arto, vestì l'abito monastico e dipinse il dossale, detto Madonna di San Guglielmo. Fu la prima icona esposta alla venerazione dei pellegrini. Nella Pentecoste del 1126 il vescovo Giovanni di Avellino consacrò la chiesa e tenne a battesimo la nuova famiglia monastica, che entrò nella storia della Chiesa col nome di congregazione di Montevergine. Era l'epoca esaltante per il mezzogiorno d'Italia, infatti Guglielmo si accattivò subito la simpatia non solo dei signori locali ma anche quello del re Ruggero il quale gli affidò la pacificazione degli animi nelle terre di nuova conquista, l'assistenza ai viandanti e ai soldati. Messaggero di letizia e di concordia, San Gugliemo trascorse gli ultimi anni della sua vita in assidui viaggi apostolici per l'impianto di nuovi monasteri in diverse parti del Regno normanno. Dovunque si stabilirono, i monaci di Montevergine portarono e diffusero la devozione verso la Vergine del Partenio e organizzarono pellegrinaggi alla loro casa madre, la quale potette ben presto divenire il santuario mariano più famoso del regno. Un documento del 1139, accenna al significato morale al valore salvifico del pellegrinaggio al santuario di Montevergine. Un certo Fulco di Avella dona alla chiesa Santa Maria di Montevergine una terra arbustata, allo scopo di ottenere il perdono di tutti i suoi peccati, e aggiunge che a quella chiesa si portarono moltissimi cristiani per trovare la misericordia di Dio e ottenere il perdono dei loro peccati, mediante l'intercessione della Madonna e le preghiere dei monaci che ivi abitavano. Lo scambio tra preghiera e beni materiali sta alla base non solo delle offerte dei pellegrini ma anche delle grandi donazioni dei principi normanno-svevi e dei privilegi dei re di Sicilia, da Ruggero II a Manfredi.
Mamma Schiavona
Carlo I d'Angiò, con la vittoria su Manfredi del febbraio 1266 e con la decapitazione del quattordicenne Corradino nell'ottobre 1268, inaugurò la dominazione angioina nel Mezzogiorno d'Italia. L'operazione era stata voluta dai papi di Roma: Innocenzo IV, Clemente IV. I monaci di Montevergine, che da sempre avevano mantenuto buoni Rapporti con le autorità civili, approfittarono del nuovo regime e della vicinanza con la capitale, per avviare strettissimi rapporti di amicizia con i membri della famiglia reale e con la nuova nobiltà. La Chiesa di Montevergine diventa un punto di riferimento e di approdo per i vivi e per i morti; in essa sorgono una cappella reale e tante altre cappelle. Sono gli anni in cui sulle cime del Partenio, in un'atmosfera di pietà religiosa e Popolare si verifica l' avvenimento più importante di tutta la storia del santuario: l'arrivo di una seconda icona la quale, quasi per incanto, sostituisce la Madonna di San Guglielmo e ne eredita la devozione, assume il titolo ufficiale di Madonna di Montevergine e dal popolo napoletano viene invocata con il nome di Mamma Schiavona. Lo schema iconografico si inserisce nella tradizione delle cosiddette "Madonne di San Luca " tipicamente bizantine: al centro la madre di Dio col figlioletto sulla gamba sinistra, seduta su un trono regale, circondato da una schiera di otto angeli. Il fondo non interessato dalla pittura, è ricoperto da una lamina di ottone dorato, sulla quale sono ricavati tanti piccoli rombi con quattro gigli angioini lavorati a cesello. Anche le aureole dei singoli personaggi sono in ottone dorato finemente lavorato. Maria, dagli occhi aperti con le larghe pupille nere rivolte contemporaneamente al cielo, al figlio e ai fedeli in qualunque posizione questi si trovino, è l'unica figura veramente bella del grande quadro. Il bambino Gesù, seduto sul ginocchio sinistro della madre, alza appena la testolina alla ricerca dello sguardo materno; i due angeli sulle due estremità della spalliera del seggiolone e gli altri sei, schierati ai piedi della Vergine, sono figure troppo piccole rispetto alla principale, rimangono isolate ed estranee alla grandiosità del quadro.
Tradizione e leggenda sul quadro
Gli elementi della tradizione sono stati elaborati attraverso i secoli e messi insieme per la prima volta da padre Marco De Masellis nel volume Iconografia della madre di Dio Maria Vergine, dato alle stampe nel 1654. Il volume comprende personaggi e didascalie. La Madonna e San Luca, gli imperatori svevi , il principe angioino di Taranto Filippo e la moglie Caterina II. Vincenzo Verace in un manoscritto datato al 1576, accenna che l'immagine sia stata dipinta da San Luca. A proposito del titolo di Madonna di San Luca, opportuno precisarne l'origine e il significato. E' noto che l'iconografia mariana si sviluppò dopo il concilio di Efeso del 431 sulla scia dei bozzetti del Vangelo dell'infanzia, in cui San Luca descrive le scene dell'Annunciazione, del Natale, del Tempio. Fu facile passare dal bozzetto letterario a quello artistico e trasformare l'evangelista Luca da scrittore a pittore, creando così la leggenda che egli avrebbe dipinto un ritratto della Vergine. Felice Renda nel 1581 opera la distinzione tra il medaglione della testa e il resto del quadro, attribuendo al pennello di San Luca solo la prima parte; precisa inoltre che quel medaglione proveniva da Gerusalemme ed era stato portato a Montevergine dall'imperatore Enrico VI poco prima del 30 marzo 1195, durante il governo dell'abate Daniele. Giovanni Antonio Summonte partendo dal documento del 1310 col quale il principe Filippo di Taranto assegnò al pittore Montano d'Arezzo alcuni territori per aver decorato la cappella del suo palazzo napoletano, afferma che l'intero dipinto della Madonna di Montevergine era stato eseguito "da Montano d'Arezzo, eccellentissimo pittore di quei tempi." In un manoscritto del 1619 Ovidio de Luciis elabora una teoria: per lui il medaglione della Madonna era stato portato a Montevergine da Baldovino II e Caterina I nel 1261. Pietà e fantasia accompagnano i due fuggiaschi sbarcati sulle coste pugliesi e diretti verso Napoli. Nei pressi di Avellino il mulo, che trasportava la sacra icona, si avviò spontaneamente verso Montevergine. Contemporaneamente una paurosa tempesta sbarrò la strada verso Napoli, mentre un raggio di sole illuminò le cime del Partenio e le campane del santuario da sole incominciarono a suonare, "facendo allegrezza all'arrivo della Regina del cielo". Il resto del dipinto sarebbe stato eseguito un cinquantennio più tardi da Montano d'Arezzo dietro ordine di Filippo d'Angiò e della moglie Caterina II . Il De Masellis nell' iconografia, allo scopo di accrescere la devozione verso la Mamma Schiavona, aggiunge nuovi tasselli al mosaico, che viene a cristallizzarsi nella diversa qualità del legno, nella diversa consistenza della pittura , e nella diversa vivacità dei colori tra il medaglione della testa e il resto del quadro. Di conseguenza per la testa si accetta la tradizione lucana e per il resto il pittore Montano d'Arezzo, dietro incarico di Filippo d'Angiò, il quale nel 1310 insieme alla moglie Caterina II avrebbe portato l'intero dipinto a Montevergine. Nell'ultimo cinquantennio, i critici d'arte hanno raggiunto un accordo nel sostenere che l'intero impianto fosse da attribuirsi al pennello di Montano d'Arezzo; nel 1989 la Guarducci ha ripreso la tradizione sostenendo che il ritratto della Madonna a Montevergine non è frutto di fantasia, ma una realtà storica, e costituisce un vincolo fra Occidente e Oriente. La ricerca pare da una precedente scoperta di un restauratore Pico Cellini il quale, in occasione dell'anno mariano del 1950, restaurò l'immagine della Madonna, di santa Francesca Romana di attribuzione lucana e trovò che sotto i volti della Vergine e del bambino ne esistevano altri due più grandi e più antichi, dipinti su tela, databili, al V secolo. Approfondendo l'esame del dipinto avvertì che presentava alcuni aspetti non riscontrabili in occidente nella icone mariane e inoltre la grandezza del volto della Madonna e la posizione del bambino sul braccio destro della madre dimostravano che si trattava di una copia speculare cioè mediante un'impronta su tel e poi dipinta. Bisognava pertanto ricercare in oriente l'archetipo e ricorrere alla controprova pratica, risovrapponendo la copia all'originale controllandone contorni e dettagli. Una prima tavola attribuita al pennello di San Luca si trova nella Storia ecclesiastica di Teodoro il Lettore vissuto nella prima metà del VI secolo. Egli ricorda che l'imperatrice Eudocia, nello sciogliere un voto per l'avvenuto matrimonio della figlia, nel 438 intraprese un pellegrinaggio in Terra Santa e da Antiochia, prima tappa del suo viaggio, inviò un'immagine della madre di Dio dipinta da San Luca alla cognata rimasta a Costantinopoli. Si trattava di un grosso medaglione in legno con pittura della sola testa della Madonna , che un'artista locale inserì su una tavola, da collocare in una delle tre Chiese.
Autore e datazione
Dopo la seconda guerra mondiale vi è stato un incremento del turismo di massa che ha rotto l'isolamento del Santuario; la necessità di adattamento alle nuove esigenze sociali e devozionali ha comportato la costruzione di una nuova chiesa dedica all'esclusivo servizio della vergine. Il dossale, prima che fosse innalzato sul nuovo trono, fu trasportato a Napoli, per una disinfestazione antitermitica ed un eventuale lavoro di restauro e di consolidamento del tessuto ligneo e della pittura. Durante il restauro il Bologna ha studiato l'ancona, correggendo molte inesattezze in cui erano incorsi i precedenti critici d'arte e assicurandone la paternità a Montano d'Arezzo. Nell'archivio dell'abbazia si conservano due pergamene, capaci di circoscrivere i termini estremi dell'arco di tempo, in cui per la prima volta è documentata la presenza sul Partenio della Madonna di Montevergine. Tra le miniature del primo documento, redatto dopo il 2 dicembre del 1216, compare una Madonna il cui tratteggio si rifà alla Madonna di San Guglielmo; mentre al secondo redatto nel settembre dl 1298, è legato un sigillo pendente, riproducente i tratti iconografici di Mamma Schiavona. Di conseguenza vanno scartate le ipotesi di datazione del Renda e del De Masellis perché il primo pecca per difetto, il secondo per eccesso.
Conclusione
Al Santuario di Montevergine, meta di grandi pellegrinaggi durante tutto l'anno, ma specialmente nel mese di maggio un mese dedicato alla Madonna, si accede con una strada rotabile, con una moderna funicolare e con una mulattiera. La strada rotabile da Ospedaletto d'Alpinolo, in circa quaranta minuti porta comodamente al Santuario. La funicolare è comoda e velocissima e copre il percorso da Mercogliano, in soli sette minuti. La strada mulattiera si può percorrere comodamente in qualche ora e mezzo; la veduta panoramica incantevole allevia la fatica dell'ascesa.


VISITA AL SANTUARIO

La Basilica
All'estremo limite ovest del Piazzale si entra nella nuova grandiosa basilica. La costruzione fu iniziata nel 1952 e fu aperta la culto il giorno dell'Ascensione del 1961. E' in stile romanico modernizzato, a tre navate (m. 54x25). Nella sua dignitosa semplicità e purezza di linee architettoniche che è un vero monumento di fede e di arte. In fondo alla navata centrale, sotto il tiburio, si apre l'ampio Presbiterio, fiancheggiato in alto, da due matronei e da un maestoso organo. Addossato alla parete di fondo, si innalza il monumentale trono dove è stata traslata la taumaturga Immagine della Madonna.Il trono si compone di marmi pregiati policormi, antichi e moderni, e di statue e di bassorilievi in bronzo, su uno sfondo di mosaico monocromo opera di G.Hajnal.Il Paliotto della custodia del sacramento, in argento massiccio (oltre 60 Kg) rappresenta il mistero della Pentecoste, e la porticina del Tabernacolo, l'episodio evangelico dei discepoli di Emmaus.
L'Antica Basilica
Attraverso due passaggi, a destra e a sinistra, in fondo alle navate laterali si accede all'antica basilica, interessante artisticamente e storicamente, che perciò si è voluta conservara intatta, con la sola perdita della navata sinistra. L'architettura è della prima metà del sec. XVII, dopo che l'antica chiesa, ampliata dal b. Giovanni I, V abate di Montevergine, era crollata nel 1629. Fu iniziata dall'abate Danuscio e terminata nel 1645 dall'abate Giordano, su disegni dell'architetto Conforti. La navata centrale è lunga e alta, anche se non troppo larga. Ricorda la precedente architettura gotica. In fondo, ha il presbiterio molto rialzato sul piano della chiesa e circondato da una ricca balaustra di marmi policromi. Sul presbiterio, l'imponente Altare Maggiore: abbraccia tutta la navata e nasconde il Coro , in legno di noce intagliato, costruito nel 1573. L'Altare Maggiore in mosaico fiorentino, di molto pregio, con intarsi di materiali preziosi (agata, madreperla, lapislazzuli, ecc.). Ai lati delle porte di entrata al coro quattro colonnine di Portasanta. L'organo, col sontuoso prospetto dell'arch. Benvenuto, fu costruito nel 1896 dalla rinomata ditta Zeno Fedeli di Foligno. Fu e rimane uno dei primi organi liturgici, secondo le nuove norme liturgiche della chiesa. A ridosso dell'Altare Maggiore, un mezzo busto di San Gennaro, patrono di Napoli, ricorda che il sacro Corpo del Santo è stato conservato per più di tre secoli in quel luogo, prima della sua traslazione nella Cappella del Tesoro del Duomo di Napoli (13 gennaio 1497). La decorazione della Basilica è a tinte basse, distinte solamente per toni. Modeste e dosate le dorature di oro zecchino, esguite sotto la direzione artistica del Prf. Volpe. A sinistra dell'altare maggiore, la Cappella della Schiodazione. In essa fu sepolto, nel 1287, il maresciallo Giovanni della Lagonessa. Al lato destro, i resti del monumento funerario di Caterina, figlia del maresciallo. A sinistra il monumento di Fabio della Lagonessa, Arcivescovo di Conza e Patriarca di Antiochia (1652). Alla destra di questa Cappella, di fornte alla Sacrestia, è stato collocato l'Altare dell'Arcangelo S.Michele, barocco simulacro dell'Arcangelo. La Cappella del Santissimo chiude la navata di destra. Fu eretta da Bartolomeo di Capua, conte di Altavilla. Degni di nota: Il Baldacchino, in mosaico di stile cosmatesco del sec. XIII, a due ordini, ricavato dagli avanzi dell'antico Baldacchino dell'Altare Maggiore; il Tabernacolo , bellissimo lavoro del sec. XV; il Mausoleo quattrocentesco di Caterina Filangieri , contessa di Avellino. L'ex Cappella della Madonna o del Crocifisso, perchè dal 1961 vi si venera un Crocifisso ligneo del sec. XVIII, occupa la navata destra. Fino al 1960 vi fu venerata la prodigiosa Icona della Madonna. In essa tutto si riferisce a lei, in uan felice armonia di linee. Nel 1628 un certo Bellottolo di Napoli vi fece costruire il ricco altare con le colonne e il bellissimo trofeo di marmi. Tra il 1887 e il 1894 e con l'opera dei fratelli artisti Volpe, la cappella subì un radicale restauro. Ai lati dell'altare due angeli allegorici: la fede e la carità. A destra, la grande tela dell'apparizione del Salvatore a S.Guglielmo. Su in alto, ai quattro lati, i medaglioni dei grandi dottori mariani dell'ordine: S.Benedetto, S.Anselmo, S.Ildefonso, S.Pier Damiani e S.Bernardo. Nel cupolino, una schiera di putti danzanti in volo. Nella volta e nell'arco della Cantoria, i misteri principali della vita della Madonna: la Nascita, L'Immacolata Concezione, L'Assunta e la Maternità divina (Natale). Al vecchio ingresso della chiesa, troviamo un portico cinquecentesco.
Il Museo
Dal Portone d'ingresso del monastero si entra nel chiostro interno. Il primo lato è occupato dal museo. Vari pezzi esposti e di una certa importanza: il sarcofago di Berterado di Lautrec (sec XIV); Tomba romana dell 'età imperiale (III o IV sec. d.C.), detto il sarcofago di Manfredi, perchè scelta come tomba nella quale voleva essere sepolto il figlio di Federico II); La Madonna di San Guglielmo (seconda metà del sec. XII); Crocifisso ligneo (sec. XIII), opera di autore ignoto di scuola francese; Sedia Abbaziale (sec. XIII); quadro votivo di Margherita di Savoia (sec. XV), il più antico ex-voto;
Il Monumento a Caterina II di Valois
E' una semplice urna funeraria, sulla quale, su un cuscino di marmo cremisi, poggiano la corona e lo scettro imperiale. Accanto all'urna, due putti finemente scolpiti, dei quali uno in atteggiamento di duolo e l'altro accenna ai ritratti dei personaggi. Fu eretto dall'abate Jacuzio nel 1776. L'Epigrafe ricorda i nomi di Caterina e dei figli Ludovico e Maria, benefattori e devoti del Santuario. Fino al 1627, i resti dell'imperatrice e dei suoi figlioli giacevano in sarcofaghi distinti.
Sala dei presepi nel mondo
Con figure presepiali napoletane e non del '700
Sala del "Il beato Giulio Nardò"
Vicino alla sala degli ex-voto, in un angolo appartato e chiuso in un' urna di bronzo, è stato sistemato il corpo del "Il beato Giulio Nardò", monaco di Montevergine e morto nel 1601. Non gli si presta alcun culto pubblico e riconosciuto dalla Chiesa ma in pellegrini di Montevergine continuano ad averlo in adorazione.
Cripta di San Guglielmo
Sul porticato di sinistra, c'è l'accesso esterno alla Cripta di san Guglielmo, di nuova costruzione, che racchuide le sacre ossa del fondatore, in un'artistica urna d'argento. Alle pareti di destra e di sinistra, le urne e gli ostensori delle numerose sacre reliquie che vennero portate a Montevergine, dono di Guglielmo I di Sicilia (1156) o dal Goleto (XVI sec.).Certo questo di Montevergine può considerarsi uno dei più ricchi reliquiari della cristianità.

Santuario di Montevergine - tel. 0825/72924

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